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Cinema-vita

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L’uomo si esprime soprattutto con la sua azione – non intesa in una mera accezione pragmatica- perché è connessa che modifica la realtà e incide nell spirito.

Ma questa sua azione manca di unità ossia di senso, finché essa non è compiuta. Ci può essere un uomo onesto che. a 60 anni compie un reato: tale azione biasimevole modifica tutte quante le sue azioni passate ed egli si presenta quindi come altro da ciò che è sempre stato. Finché io non sarò morto nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, ossia di poter dare un senso alla mia azione, che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabili. E’ dunque assolutamente necessario morire perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità.

La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile, incerto e dunque linguisticamente non descrivibile un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell’ambito di una semiologia generale). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci. Il montaggio opera dunque sul materiale del film (che è costituito da frammenti lunghissimi o infinitesimali di tanti piani sequenza come possibili soggettive infinite) quello che la morte opera sulla vita.

P. Pasolini

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